A San Giuseppe il Giusto
Passeggiata tra natura (rigogliosa e lussureggiante, quasi incontaminata) e arte (preziosa, ma trascurata) di un nutrito gruppo di soci dell’Archeoclub di Lentini, sabato 22 febbraio, accompagnati dalla presidente, prof.ssa Maria Arisco, e guidati dall’archeologo Italo Giordano, sulle tracce di San Giuseppe il Giusto.
Alla periferia sud di Lentini, sulla strada che era un tempo la via di comunicazione più breve per Pedagaggi, alle pendici del colle Ciricò, solitaria e dignitosa, la Chiesa rupestre di San Giuseppe il Giusto, cammeo tra i tanti che Lentini conserva e quasi nasconde.
Poche e incerte le notizie che possono farci risalire alle sue origini e alla sua storia.
Costruita probabilmente dai Templari, secondo Sebastiano Pisano Baudo, nel corso del XIII secolo, presenta varie stratificazioni sovrapposte, che ne attestano la preesistenza già in periodo greco, come si deduce dalla presenza di un pozzo di chiara manifattura greca, e - con numerosi rimaneggiamenti - in epoche successive: dal periodo bizantino all’età medievale, al Settecento.
Danneggiata vistosamente dal terremoto del 1693 venne oculatamente recuperata e magnificamente affrescata all’interno. Particolarmente suggestiva la facciata, di chiara impronta settecentesca, semplice e sobria, sovrastata da un elegante rosone sul portale d’ingresso, che fortemente la caratterizza.
L’interno, costituito da un solo vano a pianta rettangolare, di appena m. 7,20 x 5,00, è ricco di affreschi bizantineggianti post-terremoto, i quali, pur coprendo quasi totalmente le pareti, sono purtroppo in cattivo stato di conservazione e di difficile lettura.
L’altare, sicuramente bizantino (Paolo Giansiracusa, Le Chiese della provincia di Siracusa), è sua volta sovrastato dall’affresco (quello che si conserva meglio) raffigurante nella parte alta San Giuseppe, il Giusto per antonomasia, Maria e Gesù, e in basso figure di religiosi.
Alle pareti laterali, appena visibili, la rappresentazione delle quattro virtù cardinali: giustizia, prudenza, fortezza e temperanza.
E poi il nulla: trascuratezza, abbandono, degrado.
L’amenità del luogo, la preziosità della struttura e dei relativi reperti artistici, impietosamente da tempo abbandonati a se stessi, non possono non stupirci, ma anche spingerci a riflettere sul valore della bellezza in ogni sua espressione, spesso distrattamente osservata o poco apprezzata.
Non è escluso, presumibilmente, come ebbe a dire Fedor Dostoevskij (L’idiota, 1989), che “La bellezza salverà il mondo”. Ma è necessario che questo auspicio possa essere fatto proprio con convinzione dall’uomo, che deve preoccuparsi di tradurlo in valore universale e concreto strumento di promozione culturale.