L’Archeoclub di Lentini a Castelbuono e Caccamo
L’Archeoclub di Lentini, domenica 21 novembre, ha visitato Castelbuono e Caccamo, due perle della Provincia di Palermo, che stupiscono e si visitano con molto interesse. Incastonate nelle Madonie, in uno scenario naturalistico particolarmente seducente, fanno subito pensare che veramente la Sicilia è bella e va conosciuta e goduta in tutte le sue pieghe. L’innata incuria, pertanto, e la patologica indifferenza dei siciliani non riescono a scalfirne le innumerevoli attrattive.
Castelbuono, a trenta chilometri circa dalla più nota Cefalù, deve le sue origini ai Ventimiglia, Signori della Contea di Geraci, i quali, agli inizi del 1300, decidono di costruire un castello sul colle San Pietro, in una amena località abitata sicuramente sin dal neolitico e ricca di memorie romane, bizantine e arabe.
La costruzione del castello fa crescere la piccola comunità preesistente del luogo, tant’è che i Ventimiglia nel 1454 vi trasferirono la loro Corte e, grazie alla loro munificenza, Castelbuono diventa vivace centro culturale. Non a caso la corte dei Ventimiglia, potente e colta, accoglie artisti di diversa formazione e di notevole prestigio, come Francesco Laurana, scultore raffinato ed elegante; Torquato Tasso, poeta tormentato alla ricerca di un’oasi tranquilla e sicura; i Serpotta, stuccatori di notevole bravura, che realizzano all’interno del castello, dando il meglio della loro arte, la Cappella Palatina, che custodisce la reliquia di Sant’Anna, patrona della città, sentitamente venerata.
Scomparsa la grande nobiltà alla fine del ‘700, Castelbuono e il suo castello conoscono anni bui, fin quando, agli inizi del novecento, il Comune acquista il maniero, consentendo così ad esso di tornare a vivere e a sorprenderci.
Non molto distante, a dieci chilometri circa da Termini Imerese, ai piedi del Monte San Calogero, su una collina a 520 metri sul livello del mare, sorge maestosa Caccamo, la quale, ricca di chiese e monumenti, può essere a ragione e degnamente considerata città d’arte e di cultura.
Più la leggenda che la storia vuole che la città sia stata fondata tra il IV e V sec. a.C., ad opera di un gruppo di Cartaginesi, scampati nel 480 a.C. a Himera a sconfitta militare. Rifugiatisi verso l’interno, fondarono una città a cui diedero il nome di Caccabe. Lo storico Agostino Inveges chiama la città la “Cartagine di Sicilia” e fonda la propria convinzione sull’opinione di Stefano Bizantino, storico greco vissuto nel V sec. d.C., secondo cui in Sicilia esistette un’antica città chiamata Cartagine. L’etimologia, tuttavia, rimane incerta: pernice, dal greco Kakkabe; testa di cavallo, dal cartaginese Caccabe; caldaia, dal latino Cacabus; albero di lodo, dall’arabo Kakum. Interpretazioni che ne accrescono il mistero e il fascino.
Ma è nel periodo normanno che Caccamo fa il suo ingresso nella storia. Concessa in feudo dal conte Ruggero d’Altavilla prima a Goffredo de Sagejo e poi a Matteo Bonello, Caccamo erige il suo castello, destinato a identificarsi nel tempo con la storia e lo splendore della città.
Collocato su un alto basamento roccioso, maestoso ed elegante, a dominare il paesaggio, appare subito al visitatore presenza incombente e altera. Struttura difensiva e nello stesso tempo residenziale, comprende al suo interno una grande sala delle riunioni, locali privati, ampie scuderie, balconi, logge e terrazzi merlati, da cui si assiste all’incommensurabile panorama sulla vallata sottostante. Il castello, acquistato nel 1963 dalla Regione Siciliana (dagli ultimi proprietari, i principi De Spuches), consolidato e restaurato adeguatamente, è tornato ad essere, dopo anni di relativa trascuratezza, patrimonio di Caccamo e, perché no, di tutti noi siciliani.
Una gita istruttiva e stimolante, quindi, ma soprattutto la consapevolezza che la natura suggestiva e generosa, assieme a un’arte varia e interessante, di cui la nostra isola è ricca, vanno tutelate e valorizzate.
I dolci del luogo, ancora, assaporati con giustificata ingordigia, hanno colorito piacevolmente la giornata.