L’Opera dei Pupi
Il piccolo grande teatro siciliano
 
Il giorno 18 aprile 2010, l’Archeoclub di Lentini si reca a Catania per assistere allo spettacolo “Amore e follia di Orlando”, allestito dalla Marionettistica dei fratelli Napoli di Catania.
Uno spettacolo egregio, rappresentato nella Sala Lomax, nel “ventre” di Catania, nei pressi di via Plebiscito, che si inserisce nella tradizione storica siciliana dell’Opera dei Pupi e trova nella famiglia Napoli i custodi di un’arte suggestiva e particolare.
Fu don Gaetano Napoli, nel 1921, a fondare la compagnia, affidandola poi ai figli Pippo, Rosario e Natale. I quattro figli di quest’ultimo, a loro volta, insieme alla madre, l’infaticabile Italia Chiesa, e ai loro figli, mantengono viva e ininterrotta la continuità tradizionale, a livelli tali da ricevere, nel 1978, dai reali d’Olanda il prestigioso Premium Erasmianum, che “corona persone ed istituzioni che per la loro attività hanno arricchito la cultura europea”.
L’Opera dei Pupi, è bene ripercorrerne brevemente la storia, è un particolare tipo di teatro delle marionette che si affermò nell’Italia meridionale, e soprattutto in Sicilia, tra la seconda metà dell’Ottocento e la prima metà del Novecento. Il pupo è diverso, tuttavia, dalla marionetta, così come la marionetta è diversa dal burattino, anche se spesso si tende a confonderli. Il burattino è un fantoccio di legno mosso dall’interno dalla mano del burattinaio, a differenza della marionetta, che viene invece manovrata con fili dall’alto. Rappresentano entrambi personaggi diversi: reali, immaginari, spesso maschere, protagonisti di situazioni  buffe o grottesche. Ben altro sono i pupi. Diversa la meccanica di manovra, diversi i personaggi che incarnano, diverso il repertorio interpretato.
E proprio in Sicilia, come si è prima detto, nella seconda metà dell’Ottocento, un geniale artefice di cui si ignora il nome escogitò nuovi ed efficaci accorgimenti tecnici che trasformarono le marionette in pupi. Tali accorgimenti consistevano nella utilizzazione di aste metalliche interne volte a rendere agili i movimenti, prima rigidi, della testa e della braccia, raggiungendo così una mobilità che conferiva dinamicità alle scene.
Il repertorio era ed è costituito dalla produzione cavalleresca dei poemi epici del ciclo carolingio francese dell’XI secolo. Orlando, Rinaldo, Ruggero, Angelica, Gano di Magonza, rivisitati e corretti, diventano così i protagonisti del teatro delle marionette. E’ nata l’Opera dei Pupi siciliana. E’ a questo punto, però, che si differenziano le due scuole dell’isola: quella palermitana, affermatasi nella capitale e nella parte occidentale della Sicilia, e quella catanese, propria della città etnea, del limitrofo comprensorio  orientale  e parzialmente anche della Calabria.
Le due scuole differiscono per dimensioni e peso dei pupi, per alcuni aspetti della meccanica e del sistema di manovra, ma soprattutto per una diversa concezione teatrale dello spettacolo, che ha fatto sì che nel catanese si affermasse un repertorio cavalleresco ben più ampio di quello palermitano e per taluni aspetti diverso. I pupi catanesi arrivano fino a un metro e trenta di altezza e possono raggiungere un peso di Kg. 35; i pupi palermitani raramente superano i cm. 80 di altezza e i kg 5 di peso. I pupi catanesi hanno le gambe rigide, senza snodo al ginocchio e, se sono guerrieri, tengono quasi sempre la spada impugnata nella mano destra, a differenza dei pupi palermitani, che possono articolare le ginocchia e sguainano e ripongono la spada nel fodero. Inoltre, mentre i pupi palermitani vengono manovrati da animatori posizionati ai lati del palcoscenico, i pupi catanesi sono animati dall’alto di un ponte posto al di sopra della scena. A Palermo lo spettacolo rimase semplice e stilizzato; a Catania la recitazione fu sempre passionale e drammatica, e i relativi parlatori impostavano la voce in modo enfatico e roboante; inoltre a Palermo i personaggi femminili venivano doppiati in falsetto dall’unica voce maschile, a Catania erano sempre recitati da parlatrici donne. Ma, soprattutto, un crescente pathos tragico verso cui tendeva tutta la rappresentazione rimane la nota più caratterizzante dell’Opera dei Pupi di Catania. In più la vocazione al tragico, propria di quest’ultima, portò all’arricchimento del  relativo repertorio, che si estese così dalle storie cavalleresche del ciclo carolingio a produzioni appartenenti alla letteratura greca e latina, al teatro shakespeariano, al romanzo storico dell’Ottocento, al romanzo popolare d’appendice, all’agiografia religiosa.
 L’Opera dei Pupi è appena nata e il consenso è assicurato. Nella seconda metà dell’Ottocento e nel primo Novecento nei teatri di quartiere di tutta la Sicilia i paladini di Carlo Magno, percepiti dal loro pubblico più come persone vere che come fantocci animati, incarnavano frustrazioni, gioie e speranze del popolo siciliano. E se da una parte l’Opera dei Pupi offriva una griglia di interpretazione del mondo, essendo diventati i singoli personaggi esempi di riferimento, dall’altro, incarnando l’aspirazione ad un ordine nuovo più giusto, era, come ha detto Antonio Pasqualino, attento studioso del fenomeno, “un riscatto mitico della propria condizione di subalternità”.
E se agli albori della nascita dell’Opera dei Pupi e nei primi decenni del Novecento il pubblico siciliano assicurò sempre la sua presenza entusiasta agli spettacoli che a tappeto si rappresentavano in tutta la Sicilia, seguendo con trasporto le puntate serali che si susseguivano a successione, negli anni del secondo dopoguerra, la partecipazione, per motivi di ordine storico e sociale, andò scemando. Pupi e pupari videro svanire il loro ruolo artistico e culturale, la loro arte disertata e incompresa. Ma la tenacia di chi nella conservazione della tradizione siciliana ha sempre creduto ha consentito la ripresa e il riscatto. A quasi due secoli dalla sua nascita, a Palermo con i Figli d’Arte Cuticchio e a Catania  con don Gaetano Crimi prima e con la Compagnia Napoli dopo, la tradizione continua.
E a Lentini? Negli anni cinquanta, ricordi di una fanciullezza ormai lontana, in via Libertà (casa di Tanu a ‘Palla), nell’attuale Piazza dei Sofisti e nella non ancora Piazza Taormina, improvvisati spettacoli di Pupari itineranti (il sortinese, per esempio, don Ignazio Puglisi) ci offrivano l’approccio con un’arte tutta nostra. E adesso? Ad maiora!