Caravaggio a Siracusa
“Il seppellimento di Santa Lucia: il problema della committenza”.
Sabato 24 ottobre, nei locali del Sant’Alphio Palace Hotel di Lentini, si è svolta la conferenza, organizzata dalla locale sede dell’Archeoclub, su “Il seppellimento di Santa Lucia: il problema della committenza”. Presiedeva la prof.ssa Maria Arisco, relatore il prof. Enzo Papa, appassionato studioso di storia locale, che con il suo eloquio, pacato e accattivante, ha catalizzato l’attenzione dei tanti soci presenti.
Il prof. Papa ha tratteggiato la personalità del Caravaggio, ha descritto il suo tempo, ha raccontato la sua arte e le sue opere, con competenza e chiarezza, soffermandosi specificatamente sulla permanenza del pittore a Siracusa negli anni 1608-1609.
Caravaggio, fuggito da Malta nell’ottobre del 1608 - perché caduto in disgrazia dei Cavalieri di San Giovanni, che benevolmente lo avevano accolto quando, inseguito dalla legge romana, nella loro isola aveva trovato benevola accoglienza e consensi - trova rifugio a Siracusa, dove soggiornò brevemente, ma dove visse momenti intensi di studio e di lavoro.
Ospite del pittore Mario Minniti, suo amico di vecchia data, conosciuto durante gli anni romani, si interessò di archeologia, analizzò i reperti ellenistici e romani del luogo, coniò il termine “Orecchio di Dionisio”, per descrivere la Grotta delle Latomie e, soprattutto, esprimendosi al meglio, dipinse per la Chiesa di Santa Lucia al Sepolcro una pala d’altare raffigurante il Seppellimento di Santa Lucia. La tela, dopo vari spostamenti, è oggi collocata sull’altare maggiore della Chiesa di Santa Lucia alla Badia, in Piazza Duomo.
Anche se all’interno della specifica arte caravaggesca, l’opera presenta caratteristiche particolari. Il quadro è buio, la scena sembra ambientata negli ambienti sotterranei tetri delle Catacombe sottostanti la Chiesa stessa: i becchini scavano la fossa, il vescovo dà l’estrema unzione, la Santa presenta una profonda ferita da taglio sul collo. La luce non è ben orientata e uniforme, come nelle opere del periodo romano, ma appare cupa, del colore del sangue, con guizzi che cancellano quasi le figure: tutto nel complesso è opprimente. Più che il martirio glorioso, Caravaggio rappresenta la tetra scena di un funerale e l’ossessione personale e soggettiva della “decapitazione” che incombe su di sé.
Il quadro, con il suo fascino sinistro, è forse quanto di più autobiografico Caravaggio abbia dipinto.
Chi commissionò l’opera a Caravaggio, considerato che non dipingeva se non dietro richiesta specifica e ben remunerata?
La versione ad oggi più accreditata è quella di un preciso ordine da parte del Senato siracusano, dietro pressione dell’amico Mario Minniti, per l’altare della Chiesa di Santa Lucia al Sepolcro, ma un’altra ipotesi sostenuta dal prof. Papa, che ha effettuato attente e meticolose ricerche, fanno pensare ad una commissione di Vincenzo Mirabella, archeologo siracusano, storico, studioso di arte e devoto di Santa Lucia, che personalmente conobbe e frequentò Caravaggio nel suo soggiorno a Siracusa e il cui volto appare tra i figuranti della pala caravaggesca.
E’ così? Le ipotesi restano aperte e alimentano ulteriormente il mistero del dipinto.
Ma chi era Caravaggio, e perché nel 1607 era a Malta?
Michelangelo Merisi, noto come “Il Caravaggio”, è unanimemente oggi riconosciuto tra i più geniali e originali pittori della storia dell’arte italiana. Nato a Milano nel 1571 da una famiglia originaria di Caravaggio, nel bergamasco, si formò nella bottega di Simone Peterzano, esponente di spicco del manierismo lombardo di fine cinquecento e allievo diretto, a suo dire, di Tiziano.
E’ lì che Caravaggio matura l’attenzione per gli effetti luminosi e cromatici, oltre che per i fatti reali della quotidianità esistenziale, ma anche una personale propensione per una religiosità schietta e priva di enfasi.
Nel 1592 si trasferisce a Roma, forse dopo un breve soggiorno a Venezia, che spiegherebbe i legami stilistici con la scuola veneta di Giorgione, Tiziano e Tintoretto, ed entra, nel 1597, dopo un periodo incerto e confuso, sotto la protezione del cardinale Francesco Maria del Monte. Se è vero che il prelato esercitò un severo controllo sulla sua produzione artistica di quegli anni, influenzandola significativamente, è altrettanto vero che da illuminato mecenate e uomo di potere facilitò la carriera dell’artista.
Caravaggio mutò il suo stile: abbandonò le tele di piccole dimensioni, le nature morte e i singoli ritratti, e si dedicò alla realizzazione di opere complesse, con composizioni che diventano sempre più monumentali e drammatiche.
Dipinge nella Chiesa di San Luigi dei Francesi, per la Cappella Contarelli, le tre grandi tele sulla vita di San Matteo (la Vocazione, il Martirio e San Matteo e l’angelo) e per la Cappella Cerasi in Santa Maria del Popolo, “Crocifissione di San Pietro” e “Conversione di San Paolo”. E poi ancora il “Riposo durante la fuga in Egitto” (Galleria Doria Panphili), la “Madonna dei pellegrini” (Chiesa di Sant’Agostino), la “Madonna dei palafrenieri” (Galleria Borghese).E’ solo qualche esempio della migliore produzione caravaggesca, che se consacrò, da un lato, la fama dell’artista, suscitò, dall’altro, tuttavia, scandalo per l’ardita interpretazione degli episodi religiosi, narrati col drammatico linguaggio del chiaroscuro e del contrasto violento luce-ombra.
E’ il crudo realismo caravaggesco, in netta antitesi col gusto del tempo. Esso sembra nascere e scaturire da un’etica religiosa: non consiste, infatti, nell’osservare e copiare la natura, ma nel rifiutare le convenzioni, nel puntare sui fatti. La luce plasma le figure, determina ambienti e situazioni, carica di intensità i gesti dei personaggi.Intollerante, ribelle, violento, spesso protagonista di episodi, di scontri furibondi, di schiamazzi, di percosse, condusse una vita inquieta e tribolata. Così come rivoluzionario era nell’arte, sedizioso era nella vita. Coinvolto infine in una rissa mortale, colpito da bando capitale, nel 1606 lascia precipitosamente Roma.Si rifugia prima a Napoli, poi a Malta, presso i Cavalieri di San Giovanni e, dopo una fuga avventurosa dalle carceri di Sant’Angello a La Valletta, trova riparo in Sicilia, a Siracusa prima e a Messina e Palermo dopo. Nel 1609 torna a Napoli e da lì si imbarca per Porto Ercole, avendo appreso di una quasi certa revoca, da parte di Papa Paolo V, del suo bando di condanna a morte, portando con sé alcune tele, che avrebbero dovuto costituire il prezzo del riscatto. Caravaggio giunge a Porto Ercole duramente provato e malato. Curato inutilmente, si spegne il 18 luglio 1610: le tele che aveva con sé andarono perdute, il suo corpo, oggi fortunosamente ritrovato, fu sepolto nella fossa comune del cimitero di San Sebastiano.
Si conclude così, rocambolescamente, la vita di un artista che altrettanto rocambolescamente era vissuto.Se in quegli stessi anni, afferma Giulio Carlo Argan, Annibale Carracci (1560-1609), artista di impostazione classica, diretto antagonista del Caravaggio, rappresenta nelle sue opere una visione ideale patinata e rassicurante, attraverso la chiarezza, l’ordine, “la bellezza del ritmo e del colore, …la realtà dell’immaginazione”, Caravaggio, invece, con il suo realismo drammatico, con i forti contrasti tra luce e ombre, descrive e raffigura il dramma dell’uomo che vive con angoscia la tragicità della vita e dalla luce, apparizione simbolica della “Grazia divina”, si aspetta la salvezza. La sua arte divenne, così, la proiezione diretta della sua vita torbida e violenta, inquieta e difficile.“Ciò che si ritrova nell’opera (di Caravaggio) non è altro che un tempo, un frammento della sua esistenza: un tempo o un frammento vissuti con l’impegno di un affronto diretto della realtà. Per la prima volta l’artista non cerca più di rappresentare qualcosa di esterno, ma di esprimere il flusso, il tormento, l’angoscia della propria interiorità; e di rispondere alla domanda: chi sono? qual è la ragione del mio essere nel mondo? che cosa sarà quando io non sarò più?” (Giulio Carlo Argan).
Domande che da sempre l’uomo si pone.Il fascino del pittore “maledetto” oggi più di ieri resiste.